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NOTIZIE E APPROFONDIMENTI DAL MONDO DELLA RISTORAZIONE

Autore: Daniele Luoni 06 lug, 2021
NUOVA SABATINI 2021: COS'È E COME FUNZIONA
Nuovo piano nazionale Transizione 4.0 - innovazione e credito d'imposta
Autore: Daniele Luoni 04 mar, 2021
Con l'acquisto di una o più macchine Iceteam 1927 potrai contare sulla tecnologia più avanzata e risparmiare fino al 50% con il credito d’imposta previsto dalla legge di Bilancio 2021.
Gelato artigianale base latte o gelato alla frutta. apporto nutrizionale confronto ad altri alimenti
Autore: Daniele Luoni 16 feb, 2021
A CIASCUNO IL SUO GUSTO, BASTA SAPER SCEGLIERE!
Autore: ilGelatoArtigianale.info 19 ott, 2020
Il crollo delle attività di bar, trattorie, ristoranti, pizzerie e agriturismi legato al riacutizzarsi della crisi sanitaria avrà un effetto negativo a cascata sull’agroalimentare nazionale, con una perdita di fatturato di oltre 8 miliardi dovuta ai mancati acquisti in cibi, gelati, dolci, pizze e bevande nel 2020. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti
Autore: Di Sveva Valeria Castegnaro- Reporter Gourmet 14 lug, 2020
Nonostante nel Regno Unito il settore dell’ospitalità sia il terzo settore a contribuire all’economia apportando ogni anno 130 miliardi di sterline resta uno dei più afflitti da problemi di elevato stress e malattie mentali. Situazione di certo presente purtroppo anche in molte altre nazioni. In un sondaggio condotto dall’associazione The Burnt Chef Project su 1.273 persone, 8 su 10 hanno dichiarato di aver vissuto almeno un periodo di cattiva salute mentale a causa del loro ruolo nel settore dell’ospitalità. I 6 principali motivi per i quali gli intervistati hanno riferito di avere questi problemi sono stati: nessun tempo per l’equilibrio tra lavoro e vita privata (64%), pressione inerente al ruolo (63%), salari non corrispondenti al ruolo professionale (48%) , ore di lavoro imprevedibili e, di conseguenza, reddito imprevedibile (45%), settimane di lavoro di oltre 50 ore (45%) e supporto emotivo scarso o nullo per aiutarli ad affrontare eventuali problemi (40%). Queste cause hanno ovviamente e inevitabilmente degli effetti che si rispecchiano in una cattiva alimentazione, poco tempo per le relazioni interpersonali, aumento dello stress, affaticamento, ansia, sonno interrotto e soprattutto dipendenza da alcool. È così che Kris Hall, dopo aver lavorato per nove anni con l’industria dell’ospitalità, ha deciso di fondare The Burnt Chef Project, un’organizzazione no profit che affronta i problemi della salute mentale nel settore dell’ospitalità. L’obiettivo del progetto è che sebbene non si possa vedere la salute mentale essa venga regolarmente discussa e vengano riviste le politiche di gestione del settore dell’ospitalità. Kris Hall ha vissuto in prima persona un periodo di lunga depressione quando era al college . Un periodo terribile nel quale ci metteva anche settimane ad alzarsi dal letto e che ha superato grazie all’esercizio fisico, alla creatività e alla dieta. Proprio la creatività ha portato Hall a scattare foto di chef e operatori dell’ospitalità prima di avviare The Burnt Chef Project. Sfruttando le sue abilità fotografiche Hall ha deciso di scattare foto in bianco e nero per mostrare e far capire a tutti che non si sa mai cosa sta dietro le quinte, soprattutto di grandi ristoranti e chef famosi. Il vedere amici chef che lottavano con relazioni complicate, che avevano dipendenza da alcool o abusavano di droghe, per non parlare del numero di suicidi, gli ha fatto capire che doveva fare qualcosa di più per scoperchiare il vaso di Pandora e dare voce al settore dell’ospitalità per sfidare lo stigma della salute psico-fisica e fare da guida per coloro che si sentivano soli. Il messaggio che Hall ha voluto inviare è chiaro: “va bene non essere perfetti”. Questo dovrebbe essere la nuova definizione di “Badge of Honor”, secondo Hall. E’ così che il progetto Burnt Chef cerca di accrescere la consapevolezza con le vendite dei suoi prodotti e ospita regolarmente colloqui sulla salute mentale in tutto il Regno Unito. L’organizzazione, senza scopo di lucro, destina qualsiasi profitto derivante dalle vendite e dalle donazioni a corsi di formazione sulla salute psico-fisica, nonché a corsi manageriali che mirano a migliorare le competenze della forza lavoro nella metodologia di gestione di sé e del proprio team. E’ stato rilevato, infatti, che molte persone che si trovano in posizioni dirigenziali tendono a non avere una giusta formazione nella gestione delle persone. The Burnt Chef Project si concentra quindi sull’offerta di formazione sulla consapevolezza della salute mentale, dell’organizzazione di conferenze e sulla conduzione di seminari per coloro che operano nel settore. L’associaziona, inoltre, ha appena lanciato il programma Burnt Chef Ambassador che mira a creare una rete britannica di ambasciatori addestrati per la salute mentale in grado di diffondere ulteriormente il lavoro del Burnt Chef Project e fornire aiuto a coloro che soffrono. Entro la fine di Maggio, poi, verrà pubblicato il ricettario “Recipes for Mental Health” (Ricette per la salute mentale) con oltre venti ricette di chef tra cui Adam Handling e James Golding. Un’altra iniziativa è quella nata dalla collaborazione con Savernake Knives nel Wiltshire per creare un’edizione limitata di coltelli personalizzati, il 10% di tutti i proventi verrà utilizzato per raggiungere gli obiettivi del progetto The Burnt Chef. L’iniziativa e l’associazione di Kris Hall hanno riscontrato molto successo nel Regno Unito e molti risultati sono già stato raggiunti questo a simboleggiare che la domanda di un sostegno agli operatori del settore dell’ospitalità era ed è una realtà concreta. Sempre secondo il sondaggio condotto su 1.273 persone oltre l’86% degli intervistati ha affermato che il progetto The Burnt Chef ha avuto un impatto notevole nella de-stigmatizzazione della salute mentale all’interno del settore. Si augura ulteriore e grande successo all’associazione di Hall e si auspica che associazioni simili nascano al di fuori del Regno Unito perché il problema dello stress e del benessere psico-fisico degli operatori nel settore dell’ospitalità va ben oltre la Mancia, è concreto e globale. In mancanza di associazioni e organizzazioni, il consiglio è di non sottovalutare il problema. Non aver paura o sentirsi a disagio di fronte ad un momento di difficoltà. Trovare la forza di farsi aiutare rivolgendosi a uno specialista, è una buona scelta di cui non vergognarsi.
Autore: di la Redazione - REPORTER GOURMET 02 lug, 2020
Per il gelato al miele d’elicriso 500 ml di latte intero 200 ml di panna fresca 20 g di zucchero semolato 35 ml di latte in polvere 70 ml di glucosio dry 15 g di maltodestrine 30 ml di latte condensato 15 g di caseinato di sodio 10 g di siero proteine 15 g di inulina 65 g di miele d’Elicriso Procedimento Realizzare la base come fosse una crema inglese. Far maturare almeno 8 ore e mantecare in gelatiera. Per il cremoso di cioccolato bianco ed alghe 150 ml di latte intero 5 g di colla di pesce 10 g di mix alghe 200 g di cioccolato bianco al latte 200 ml di panna semi montata Procedimento Realizzare una ganache, quando il composto è ancora tiepido aggiungere la colla di pesce ed infin quando sarà a temperatura ambiente la panna semimontata. Far raffreddare bene in frigo Per il gel di alghe 150 g di decotto di acqua e alghe in pari peso 50 g di blu curaçao 1 g agar agar 3 g di colla di pesce Procedimento Far bollire l’agar agar nel decotto per attivarla, ritirare dal fuoco e aggiungere la colla di pesce precedentemente ammollata, condire con il blu curaçao e far raffreddare. Per la meringa d’ostrica 125 ml di acqua 125 ml di albume pastorizzato 7.5 g di albume dry 25 g di zucchero 5 g di polvere di ostriche disidratata Procedimento Montare gli ingredienti come se fosse una meringa, stenderla in teglia e cuocerla a 100°C , valvola aperta, ventilazione media per 2 ore. Composizione del piatto Adagiare sul fondo del piatto il cremoso di cioccolato rappreso, il gel di alghe rotto con una frusta e sbriciolare la meringa per preparare sul piatto la base per la quenelle di gelato al miele.
ristoranti milano
Autore: a cura di Antonella De Santis - Gambero Rosso 01 lug, 2020
Cosa sta accadendo ai ristoranti di Milano nelle prime settimane di riapertura? le testimonianze di alcuni chef e patron di note insegne meneghine
Autore: Margo Schachter - La Cucina Italiana 30 giu, 2020
Alla ricerca del gelato perduto, sparito dalle gelaterie dopo il successo degli anni 80, lo abbiamo ritrovato a Milano. Non in gelaterie, ma nella pasticceria di Fabrizio Barbato, L’Île Douce «Il mio amore è nato a Malaga, il mio cuore resta a Malaga», cantava Fred Bongusto. Il gelato Malaga invece è rimasto negli anni 80, quando spopolava nelle gelaterie insieme al variegato all’amarena e al gusto Puffo. Sono spariti tutti, soppiantati da caramelli salati e creme della nonna, cioccolati extra amari e gelati vegani. Un peccato ha pensato il pasticciere Fabrizio Barbato di Milano, anima di L’Île Douce e nominato Pasticciere emergente 2019 dalla guida del Gambero Rosso. La vera storia del gelato Malaga Il gelato Malaga prende il nome da un particolare tipo di uvetta passita, l’uva Malaga coltivata nella zona della città andalusa di Malaga. L’uvetta veniva lasciata a macerare nel vino Malaga , un vino dolce e aromatico prodotto nella stessa zona, e poi usata per preparare dei dolci tipici locali, memoria della dominazione araba. Il gelato Malaga dovrebbe venir preparato proprio con le uvette imbevute su una base di crema aromatizzata al vino stesso. Che cosa è vino Malaga? «L’ho cercato, ma è impossibile trovarlo», e infatti se il gelato Malaga è diventato un classico del gelato, o almeno lo era, il vino Malaga di alta qualità non è praticamente sopravvissuto alla conversione turistica della zona un tempo ricca di vigneti di Moscatel. Questo vino, che era popolarissimo al pari di Porto e Sherry nelle corti europee, oggi resiste giusto per la volontà di qualche produttore che ne vinifica delle bottiglie di qualità. Un po’ proprio come il gelato gusto Malaga. Senza latte, tante uvette «Io per farlo uso una base di zabaione aromatizzato al rum ambrato e alla vaniglia, quindi non una crema; è senza latte , come gli altri gelati che facciamo, a base acqua. Poi ci aggiungo uvetta australiana macerata nel marsala invecchiato». Il risultato è stupefacente, profumato, croccante e da masticare perché l’uvetta (tantissima) gli regala una texture importante. Non un gelato da leccare, ma da assaporare con il cucchiaino, molto diverso dalle memorie di oramai una trentina d’anni fa. «A me non me lo facevano manco mangiare da bambino», racconta Fabrizio, «perché avrebbe dovuto essere alcolico. In realtà erano solo basi con aromi artificiali». Ed è per questo che ha voluto rifarlo: un gelato pensato da un pasticciere, dove il primato va al gusto, più che alla cremosità, ideato per essere conservato in casa, quindi che dà il suo meglio a -19°C, la temperatura di un comunissimo freezer. No coni, no coppette , solo vaschette gelato da mangiare a casa. Ma questa oltre l’estate del gelato gusto Malaga è ufficialmente anche quella dei pasticcieri che si sono messi a mantecare nelle Carpigiani.
Autore: HIBER- ALI GROUP 29 giu, 2020
Da sempre la tavola è il momento di ritrovo e di piacere, attorno ad un tavolo ci si diverte, si discutono gli argomenti più diversi, si decidono le sorti aziendali o familiari. Un grande chef, un maestro pasticcere o un maestro gelatiere si misurano dal sapore, dalla fantasia, dalla cura estetica nella preparazione e, non da ultimo, dalla sicurezza dei prodotti offerti ai loro Clienti. Oggi come oggi, bontà fa rima con salubrità , e per essere certi di raggiungere questo obbiettivo è necessario si dimostri attenzione particolare per la salvaguardare le proprietà organolettiche degli alimenti. Chi lavora in cucina, in un laboratorio di pasticceria o gelateria, con entusiasmo e passione, deve scegliere intorno a sè delle risorse -umane e strumentali- in sintonia con tali obbiettivi, ragionando a mente fredda, anzi a "cuore freddo", scegliendo come partner un'attrezzatura veramente all'avanguardia. L'abbattitore rapido di temperatura è in grado di assicurare una lunga serie di vantaggi: - Vantaggi qualitativi : per 5-6 giorni le caratteristiche qualitative iniziali (colore, sapore, odore) rimangono inalterate ; sicurezza ed igiene totale dei prodotti serviti; eliminazione dei rischi di contaminazione. - Vantaggi organizzativi: migliore organizzazione del lavoro, distribuito su 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana; utilizzo ottimale delle attrezzature con un aumento della produttività ; servizio ai Clienti migliore e più veloce; offerta più ampia. - Vantaggi economici : miglioramento del lavoro del personale; possibilità di consumo completo dei cibi su 5 giorni con una gestione ottimale del cibo; risparm i per l'acquisto delle materie prime in blocco Che cos'è l'abbattitore ? L'abbattitore rapido di temperatura è una speciale attrezzatura che funziona a ventilazione forzata. Si può considerare simile ad un forno a convenzione, in cui l'aria è usata per trasmettere calore, nell'abbattitore invece l'aria è sfruttata per estrarre continuamente e rapidamente il calore emesso dal prodotto, raffreddandolo velocemente fino al cuore del prodotto stesso. Gli abbattitori possono fornire 2 modalità di funzionamento: - Abbattimento positivo o raffreddamento rapido: da +90° a +3° C. al cuore del prodotto possibilmente in meno di 90' . - Abbattimento negativo o raffreddamento rapido: da +90° a -18° C. al cuore del prodotto possibilmente in meno si 270'- E' importante sottolineare che l'abbattitore ha la capacità, rispetto ai normali frigoriferi conservatori, di riuscire a mantenere il giusto grado di umidità del prodotto, necessario per la successiva lavorazione o rimessa in temperatura del prodotto stesso. A cosa serve l'abbattitore di temperatura? Chiunque si occupi della gestione di strutture di ristorazione è consapevole che a causare la crescita e la diffusione della carica batterica sono le relazioni tra tempo e temperatura : sono esse che influiscono in maniera determinante nella diminuzione della qualità e nella perdita di salubrità dei cibi. In effetti non è più sufficiente un ambiente apparentemente pulito e ordinato: è necessario assicurarsi che la carica batterica sia sempre sotto controllo. Il vantaggio principale dell'abbattitore è proprio quello di evitare un eccesso di proliferazione batterica negli alimenti, gestendo il punto dell'aumento esponenziale tra 7 e 60° C. A queste temperature, infatti, l'azione della carica batterica aumenta in maniera tale da creare una decomposizione precoce dei prodotti, con un conseguente rischio di intossicazione, provocato dal rilascio di tossine da parte di batteri termofili, mesofili e psicofili. Va precisato che il processo di abbattimento non elimina totalmente lo carica batterica ma, provocando un vero e proprio "shock termico" , ne inibisce la crescita consentendo la conservazione dei cibi per più giorni. Perchè è importante surgelare rapidamente? Con l'abbattimento rapido negativo o surgelatore rapido si può portare rapidamente qualsiasi alimento alla temperatura di -18°C. al cuore. Anche in questo caso no si elimina totalmente la carica batterica, ma se ne rallenta la crescita. A differenza di un normale congelatore dove si raggiungono i -18° C. in tempi molto lunghi, l'abbattitore evita la formazione di microcristalli di ghiaccio , a tutto vantaggio delle caratteristiche organolettiche del prodotto stesso. E' bene sapere che il congelatore è un conservatore di prodotti già congelati, qualora lo si utilizzi come surgelatore si produce una congelazione lenta che fa decadere la consistenza del prodotto e "si vede e si sente" che il prodotto è stato congelato. Questo perchè, impiegando parecchie ore per la congelazione, consente la formazione di cristalli grossi, i quali destrutturano la conformazione stessa del prodotto attraverso la rottura della pellicola cellulare, facendone conseguentemente fuoriuscire il succo nella fase di scongelazione invece nel surgelatore rapido si formano solo dei microcristalli, grazie alla potenza della macchina, alla forza della ventilazione ed alle bassissime temperature operative
Autore: Roberto Caravaggi - Il Giornale del Cibo 25 giu, 2020
La disputa tra gelato artigianale e gelato industriale è da anni tema di accesi confronti, coi gelatieri a rivendicare la genuinità dei loro prodotti e l’industria a veicolare messaggi che puntano sempre più sulla qualità degli ingredienti. Negli ultimi tempi, poi, si sente spesso parlare di “gelato naturale” . Ma cosa si intende davvero con queste espressioni? Basta una lista ingredienti corta e priva di elementi che ci sono sconosciuti per garantirci un prodotto naturale e di qualità? I n un precedente articolo ci siamo già occupati delle differenze tra gelato artigianale e industriale , focalizzandoci in particolare su quanto riportato in etichetta. Oggi vogliamo, invece, approfondire l’argomento da un altro punto di vista: come fare a riconoscere un “vero” gelato artigianale? Il panorama delle gelaterie artigianali o sedicenti tali è talmente vasto, infatti, da risultare difficile districarsi e capire dove possiamo trovare la qualità che cerchiamo da un prodotto di questo tipo. Per fare chiarezza in merito abbiamo intervistato Alessandro Croce , gelatiere professionista con alle spalle alcuni importanti riconoscimenti, come la doppia affermazione all’evento Gelato Festival Europa, nonché titolare di un’azienda che produce ed esporta in tutto il mondo basi di gusto per gelaterie Artigianale, industriale, naturale: tanti modi per dire “gelato” La prima distinzione che siamo abituati a fare pensando al mondo del gelato è tra prodotti industriali, confezionati e in vendita presso i banchi freezer dei bar e dei supermercati, e artigianali, che fanno capolino dalle vetrine delle gelaterie e che ci vengono serviti al momento. Da quest’ultimi, in particolare, ci aspettiamo che siano realizzati con pochi semplici ingredienti , con l’esperienza e la manualità del gelatiere a fare la differenza. In realtà non è esattamente cos ì, come scopriremo. Quello del gelato è un vero e proprio mondo, dentro il quale ci sono talmente tante sfumature da rendere la distinzione tra gelato industriale e gelato artigianale non così netta come potrebbe sembrare. E soprattutto, da rendere la definizione di “gelato naturale” una sorta di scatola accattivante ma priva di contenuto: “è solo marketing ” sostiene Alessandro Croce. “Non esiste una definizione certa e univoca di ‘gelato naturale’, sebbene faccia pensare a qualcosa di privo di additivi alimentari ed elementi chimici. Purtroppo però molti colleghi stanno cavalcando questa strada, contribuendo così a confondere le idee ai consumatori e facendo, al contempo, il gioco delle produzioni industriali, in grado ormai di garantire etichette rassicuranti, che contano pochi ingredienti . Gli aspetti sui quali, invece, il mondo della gelateria artigianale dovrebbe distinguersi sono altri”. Pronti dunque a scoprire cosa si cela dietro il mondo del gelato? Cos’è il gelato artigianale? Parola al professionista Quando si parla di gelato, che sia artigianale o industriale, si intende un prodotto che ha una precisa base di partenza : zuccheri, latte, proteine del latte e addensanti, come la farina di semi di carrube o il guar. “Tutti, sia a livello artigianale, sia a livello industriale, partono da qui” spiega Alessandro Croce. Qual è allora la differenza tra un prodotto industriale e uno artigianale? “La differenza è principalmente nella tecnica di lavorazione . A livello industriale, infatti, si usano i freezer continui per l’insufflazione d’aria , cosa che, invece, non è consentita nella lavorazione artigianale. Questo significa che, a parità di peso, un gelato insufflato ha un volume maggiore , col vantaggio di ottenere lo stesso quantitativo di prodotto usando meno materie prime di base ”. Di fatto, significa che per produrre una vaschetta da mezzo chilo di gelato alla nocciola, l’industria può riuscirci utilizzando meno latte e soprattutto meno nocciole , ottenendo quindi un margine di guadagno decisamente maggiore. Non tutti gli additivi vengon per nuocere Riguardo gli ingredienti, invece, viene facile pensare che la produzione industriale faccia abbondante ricorso ad additivi alimentari , mentre nel gelato artigianale vi siano solo elementi naturali. Alessandro Croce, in realtà, sfata questo mito: “Non è sempre così. Anzi, anche nel mondo della gelateria artigianale trovano impiego aromi e coloranti alimentari, che vengono utilizzati in ambito industriale. Un esempio classico sono le clorofille vegetali, cui molti fanno ricorso per dare una colorazione verde al pistacchio , che invece verde non è”. Significa dunque che, quando mangiamo un gelato, dobbiamo accettare che ci sia sempre qualcosa di non naturale dentro? “No, assolutamente. Intanto va chiarito che, ad esempio, c’è colorante e colorante . Ci sono quelli chimici, ovviamente, ma ci sono anche quelli naturali. L’Alchermes, ad esempio, è un ingrediente irrinunciabile in dolci tradizionali come la zuppa inglese, perché contiene un colorante naturale, che serve a conferirgli la caratteristica tonalità rossa. Questo ci autorizza forse a dire che la zuppa inglese domestica preparata artigianalmente da una brava massaia è qualcosa di ‘non naturale’?”. Meno ingredienti non è sempre sinonimo di qualità Altro mito da sfatare per Croce è l’equazione: meno ingredienti, maggiore qualità . “Se un professionista sceglie di usare più ingredienti per la preparazione di un gusto, non significa automaticamente che il suo prodotto sarà meno genuino. Quando alla base di questa scelta c’è la profonda conoscenza degli elementi che vai a utilizzare è, anzi, più probabile che il risultato finale possa avere qualcosa in più. Io stesso, ad esempio, cerco sempre di migliorare la preparazione dei gusti. E lo faccio andando a testare le materie prime , cercandone di nuove e sperimentando”. Conoscenza delle materie prime e sperimentazione : fattori che, per Alessandro Croce, contano molto di più della lista degli ingredienti. “Chi fa gelato su questo ci mette la faccia. Sono io il primo ad assaggiare ciò che produco e, se non ne rimango più che soddisfatto, non lo propongo certo ai miei clienti”. Dove l’artigianalità può fare la differenza: i segreti di un “vero” gelato artigianale Alla luce di quanto detto, dunque, che cosa caratterizza un buon gelato artigianale? Quali sono gli elementi che dovrebbero distinguerlo dalla produzione industriale? “La vera differenza la fanno la qualità e la freschezza delle materie prime utilizzate ” spiega Alessandro. “Quello che molti miei colleghi gelatieri non capiscono è che insistere su concetti come ‘gelato naturale’ o sulla semplicità della lista ingredienti è appannaggio dell’industria. L’industria è forte e può permettersi ormai di proporre prodotti a base di pochi ingredienti con volumi incalcolabilmente superiori. Basti pensare che un impianto industriale di modeste dimensioni ha una capacità produttiva di 3000 kg di gelato al giorno , contro i circa 60 kg/giorno di quello di un artigiano”. Un confronto impari, che però offre lo spunto decisivo alla tesi sostenuta da Alessandro Croce. “Dove quindi il gelatiere artigianale può fare la differenza? La fa nel poterti offrire un prodotto fresco , preparato con ingredienti di stagione e soprattutto realizzato giornalmente . Cosa che, invece, l’industria, proprio per dover tenere in funzione impianti dai grandi volumi di produzione, non può permettersi. Il gelato industriale, infatti, viene preparato in grandi quantitativi e con largo anticipo, utilizzando, ad esempio, frutta surgelata. Il gelatiere, invece, può proporti un gelato con base di frutta di stagione acquistata dal fornitore di fiducia proprio quel giorno”. È su questo punto, quindi, che la gelateria artigianale dovrebbe giocare la sua “partita”. “L’esperienza, unita alla conoscenza degli ingredienti e all’abilità nel saperli utilizzare al meglio, è l’elemento chiave con cui il gelatiere deve conquistare la fiducia del cliente . Per questo dico che il concetto di ‘gelato naturale’ è una scatola vuota: tutti possono sventolare questo vessillo. Ma non è contando il numero di ingredienti utilizzati o la presenza/assenza di additivi che si stabilisce se un gelato è più o meno buono, è casomai la freschezza e la qualità delle materie prime impiegate. Se non sei onesto in questo senso, il cliente non ti premia. Lo puoi ingannare una volta o due, ma alla lunga finisci col perderlo. Se c’è qualità, invece, lo percepisce. Lo apprezza e, quindi, torna”. Qualità e freschezza : ecco, in definitiva, ciò che un “vero” gelato artigianale dovrebbe garantire. A conclusione di quest’intervista con Alessandro Croce e della distinzione tra gelato artigianale e gelato industriale, la palla passa a voi lettori: qual è la vostra esperienza in merito? Avete già una vostra gelateria di fiducia?
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